Dipinto di Caterina De Angelis.
E’ strano come con il passare del tempo il nostro rapporto con il pianto muti.
Da bambini piangiamo con maggiore facilità e questo si spiega facilmente.
All’inizio della nostra esistenza il pianto sostituisce la parola, poi diviene sintomo di fragilità interiore, poi si associa a vissuti particolari. Piangiamo per il dolore fisico, morale, per gioia, in preda a forti emozioni.
Anche gli animali piangono, ma esclusivamente per cause fisiologiche quale la necessità di mantenere umido il bulbo oculare; loro non possono manifestare neppure il dolore interiore, se lo tengono dentro e pochi sanno leggere nel loro sguardo. Solo noi umani piangiamo in associazione con spinte emotive.
Da adolescente piangevo facilmente ed ho continuato a farlo anche da più grande. La mia spiccata sensibilità mi portava ad immedesimarmi in tutte le situazioni più disparate ed il mio Io ancora fragile non reggeva il dolore degli altri. Questa condizione è durata a lungo, perché a lungo sono rimasta nel mio mondo, prendendo dall’esterno solo quanto mi appariva buono, poi…è arrivato il momento in cui ho pianto tanto! Tanto da non farcela più e allora…finalmente sono cresciuta, ho preso consapevolezza del mondo e, lungi dal dichiarare che tutto nella vita è dolore, ho iniziato a fare un’attenta cernita di ciò che si muoveva intorno a me.
Ho preso il bello della vita, mi sono fortificata ed oggi non piango più facilmente. Riservo questo impiego di energie interiori solo a ciò per cui vale veramente la pena spargere lacrime. Ma un grande limite ce l’ho ancora: non posso assistere alla proiezione di “ Bamby” ! Mi dispero ancora. Non mi vergogno delle mie lacrime. Piangere è sintomo di ricchezza interiore.